Nella foto: l'assessore Merola durante l'intervista
Le interviste dello Spettro/2
VIRGINIO MEROLA
Lui c'è, ma voi non lo sapete
Eccoci con la seconda intervista dello Spettro: Virginio Merola, assessore all'urbanistica, pianificazione territoriale e casa del Comune di Bologna. L'intervista è lunga, ma mi sembra ne valga la pena di leggerla bene, ci sono molti spunti di discussione interessanti. A brevissimo la terza intervista, par condicio ;-)
PonyLuna: Quanto sei alto?
Virginio Merola: Uno e ottantuno.
PL: A che età hai cominciato e perché?
VM: Ho cominciato a occuparmi di politica quand’ero al liceo Minghetti negli anni ‘70-‘71, uno dei primi Collettivi del Manifesto in città. Da allora l’impegno politico, che non ho mai fatto come funzionario alle dipendenze di un partito, mi ha sempre molto preso per tutto il tempo che avevo a disposizione.
PL: E perché?
VM: Perché in quegli anni che hanno segnato la mia formazione era molto importante pensare alla propria vita, alla propria libertà personale, in relazione con gli altri. È un tema che mi ha sempre appassionato, e penso che una vita degna di essere vissuta dev’essere spesa anche con gli altri.
PL: Cosa facevi nel Settantasette?
VM: Nel Settantasette è stato un bel casino per me, perché lavoravo a Radio Città del Capo, che allora si chiamava Radio Città. Eravamo presi in mezzo, nel senso che fare il redattore in quella situazione era un po’ difficile: da una parte avevamo il movimento studentesco inferocito contro il Partito comunista e le istituzioni bolognesi, e dall’altra avevamo il Partito comunista inferocito verso il movimento. Noi tenevamo una posizione di equilibrio, nel senso che volevamo costruire occasioni di discussione e di dialogo e correvamo il rischio di prenderle sia dagli uni che dagli altri, tanto che a metà del 1977 ho pensato che era opportuno per me andare a fare il militare e anticipare la chiamata di leva, non per motivi di sicurezza personale, ma perché vedevo la situazione infilata in uno scontro e una contrapposizione che non avrebbe prodotto nulla di buono.
PL: Quanti anni avevi?
VM: Sono nato nel 1955, quindi avevo ventidue-ventitre anni.
PL: Che lavori hai fatto?
VM: Ero stagionale in autostrada, hai presente i casellanti? Facevo il casellante autostradale, quelli che riscuotono il pedaggio, e ho continuato farlo per dieci anni. Facendo il casellante ho fatto quasi subito attività sindacale per la categoria.
PL: Prima dell’assessore hai ricoperto altre cariche?
VM: Ho fatto per due mandati il presidente di quartiere, quel bel quartiere che è il Savena, le zone Mazzini-San Ruffillo messe insieme, dal 1995 al 2004.
PL: Perché la gente va ad abitare fuori Bologna?
VM: Perché le case a Bologna costano troppo e le giovani coppie non possono permettersi di acquistare un appartamento. Poi si aggiungono motivi di qualità della vita, si immagina che andando fuori ci sia meno traffico e meno inquinamento, anche se poi l’esperienza di questi anni ci dimostra che ci sono dei bei problemi anche a fare il pendolare.
PL: Le case costano troppo, molti vanno fuori Bologna, quindi ci devono essere delle case sfitte…
VM: Le case vuote a Bologna sono il mito che si tramanda di generazione in generazione. Da 10 anni le case vuote sono sempre le stesse, 6-7mila alloggi. Può sembrare un dato eclatante ma è statisticamente fisiologico nel senso che sono tenute sfitte per diversi motivi: mantenere libero l’appartamento per i figli, lavori di ristrutturazione, beghe famigliari varie, ma sull’insieme delle case non sono molte.
PL: Quindi le case sfitte sono uno spettro della bolognesità…
VM: Ci sono degli spettri che si aggirano per Bologna… È normale che ci siano delle case vuote. C’è un mercato dell’affitto a Bologna, ma è asfittico. È un mercato che andrebbe molto incentivato e orientato verso chi ha la necessità di pagare un affitto affrontabile dal punto di vista economico.
PL: E come si può fare?
VM: Stiamo lavorando in due modi. Abbiamo approvato il progetto per un’Agenzia per l’affitto. Adesso ci vogliono due mesi per renderla operativa, però l’idea è questa: Attualmente a chi fa un affitto a canone concordato, previsto dalla legge, il Comune di Bologna azzera l’Ici (è una scelta del Comune) e in più ci sono delle riduzioni sull’Irpef. A questi due strumenti noi aggiungiamo un fondo di garanzia, che garantisce il proprietario per la finita locazione e soprattutto per la morosità, nel senso che noi esoneriamo il proprietario dal problema e ci facciamo garanti noi dell’eventuale morosità. In più, aggiungiamo come garanzia che agli eventuali danni pensiamo noi, rivalendoci noi sull’inquilino e togliendo la bega al proprietario.
PL: Tutto questo non per qualsiasi contratto…
VM: Solo per il contratto a canone concordato, che ha almeno il 25% in meno del contratto libero sul mercato. Vogliamo sostenere canoni concordati a prezzi calmierati e aggiungiamo a quanto previsto il fondo di garanzia. Garantiamo per l’inquilino che mettiamo dentro, perché lo mettiamo dentro secondo graduatorie in base al reddito, e tuteliamo il proprietario. Il secondo strumento: Bologna ha bisogno di nuovi residenti, quindi ha bisogno di un maggior numero di case in affitto rispetto a quello che propone il mercato. Nel nuovo piano regolatore, che si chiama Nuovo piano strutturale, prevediamo la relizzazione di case in affitto.
PL: Quanta libertà di manovra hai nel decidere queste cose?
VM: Dipende dalla fiducia del sindaco, quindi ne ho parecchia. Di deciderle sì, poi di riuscire a farle… la vita è fatta di ostacoli.
PL: Chi si oppone a questi progetti?
VM: Potenti interessi economici e il meccanismo della rendita finanziaria, che opprime molto la città. Il Nuovo piano introdurrà una norma per cui chi vuole costruire nelle aree scelte dal Comune deve cedere il 20% di quegli indici per l’affitto.
PL: Cioè?
VM: Con l’attuale piano regolatore chiediamo a chi costruisce standard di verde e di parcheggio, vorremmo aggiungere un nuovo standard: il 20% per l’affitto.
PL: Sulla questione dell’affitto, mi pare che una grande differenza tra Italia e Stati Uniti sia che in Italia il patrimonio immobiliare è parcellizzato tra milioni di famiglie, mentre negli Stati Uniti esistono grandi corporation che posseggono migliaia di appartamenti. Mi sembra che ciò renda più dinamico il mercato degli affitti, no?
VM: È una percezione molto giusta, nel senso che quella che a noi pare una conquista, cioè che più del 70% dei bolognesi ha la casa di proprietà, comincia a essere un grosso ostacolo per lo sviluppo delle città. Avere una percentuale così alta di proprietari è un ostacolo alla accessibilità della città, alla sua mobilità sociale ed economica. Uno che decide di costruire la sua vita a Bologna ha una barriera d’accesso fortissima, non solo perché deve trovare lavoro, ma anche un alloggio adeguato a prezzi accessibili. Bisogna anche operare un cambiamento di impostazione culturale: penso che il Comune debba sempre meno preoccuparsi di costruire case da dare in proprietà a mutui agevolati, e concentrarsi sempre di più sulle case in affitto. Se nei prossimi 15 anni Bologna non attrae 20mila residenti in più non riesce ad avere quel mix di popolazione urbana che ne fa una città vitale e attiva, perché abbiamo già oltre 100mila anziani sopra i 65. Se non cambia tra vent’anni avremo 150mila anziani e pochissimi giovani.
PL: Studenti e fuorisede. Dal punto di vista dell’assessore all’urbanistica quali sono i punti di forza e i problemi di una popolazione di fuorisede così grande?
VM: Innanzitutto che venga vissuto come un problema: la città vive gli studenti come un problema. Questo è un errore, è un ostacolo allo sviluppo. Gli studenti sono un’opportunità e una risorsa. Abbiamo 100mila studenti di cui 40mila fuorisede. Dobbiamo saperli accogliere, convincere tanti studenti a creare qui la loro vita professionale e famigliare. Sono una grande opportunità rispetto alle prospettive demografiche e rispetto al fatto che sempre più le città competitive e aperte sono basate sull’economia della conoscenza e sulla qualità del lavoro. Gli studenti pongono un problema tipico di una città come Bologna: i residenti sono 370mila, mentre quelli che frequentano la città sono almeno il doppio. Si è creata una divisione di comportamenti, di bisogni culturali e ricreativi, di scelte di vita: la città è usata massicciamente da persone che non vi risiedono. È il conflitto fra gli stili di vita, un tema classico della modernità di cui gli studenti sono un epifenomeno. Va affrontato, non taciuto, a partire dal tentativo di aggredire l’affitto in nero. I canoni calmierati possono essere applicati anche agli studenti. In più serve un accordo con la Guardia di finanza per combattere l’affitto in nero e rendere consapevoli gli studenti di questa lotta. E poi ragionare in generale sul ruolo dei giovani in questa città, non solo gli studenti fuorisede.
PL: Si discute spesso dei colli e dei famosi vincoli edilizi, a partire dalla polemica sul progetto del campo di golf… Cosa mi dici?
VM: Questo è un altro spettro della bolognesità, nel senso che non c’è una divisione tra chi vuole tutelare la collina e chi no. Il campo di golf ha creato parecchi disturbi nella comunicazione, primo perché non è un campo da golf, ma questo non vale neanche più ripeterlo, nel senso che è un campo-scuola da golf, non da 12mila mq, che è il minimo per un campo da golf, stiamo parlando di una cosa che è due terzi del Dall’Ara, non tutto lo stadio: due terzi del campo di calcio del Dall’Ara.
PL: E quindi?
VM: Non dobbiamo discutere se tutelare o meno la collina: l’abbiamo già fatto, è un vanto dovuto al lavoro delle generazioni precedenti. Il punto è: come si usa la collina in modo compatibile con l’ambiente? Conservare ha un senso se si può usare ciò che si conserva. Vale per un museo, deve valere anche per la collina. Se non ci preoccupiamo di questo, ci diciamo che l’abbiamo tutelata e continuiamo a voltarle le spalle. Noi presenteremo delle proposte di salvaguardia e di utilizzo compatibile della collina, cosa che nel resto del mondo è abbastanza assodata, ed è un obiettivo degli ambientalisti usare la risorsa-parco per farla vivere.
Vedi, in questa città tra i vari miti e i vari spettri ci sono dei tabù, per cui se uno dice: “Perché non parliamo della collina?” sembra che stia introducendo un grimaldello per costruire in collina. Ma noi parliamo coi fatti, nel senso che c’è una variante di salvaguardia che ha azzerato 27mila metri quadri di indici edificatori previsti sulla collina che erano lì da 30 anni e che nessuno ha mai attuato perché erano indici inventati. Vogliamo mantenere l’ipocrisia o dire come si usa la collina? Non sto parlando di edilizia residenziale. Sto dicendo: quali attività sono compatibili col parco? Posto che siamo tutti contrari alle auto, chi vuole andare sui colli come diavolo ci arriva?
PL: La funivia!!!
VM: Ecco, la funivia l’abbiamo buttata giù anni fa perché costava… Vogliamo affrontare questo tema? Se non è la funivia, un sistema di trasporto pubblico moderno per arrivare in collina questa città riesce a immaginarlo? Ad oggi mi risulta che il sistema di trasporto pubblico più innovativo per andare in collina è il portico di san Luca. A me sta benissimo come idea, ma almeno usiamola come idea.
PL: Dove abiti a Bologna?
VM: Adesso abito in una parallela di via Andrea Costa… via Muratori
PL: Quindi abiti in città-città.
VM: È molto comodo, vengo spesso a lavorare a piedi.
PL: E dove sei nato, a Bologna?
VM: Non sono nato a Bologna, sono nato a Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta sono venuto qui che avevo 5 anni. I bolognesi originali nati a Bologna, a proposito di spettri della bolognesità, sono ormai meno del 40% dei cittadini di questa città. Mia moglie è qui da tre generazioni, mi sono integrato bene, dai.
PL: Come è cambiata Bologna? Dimmi una cosa che ti piace e una che non ti piace.
VM: Mi piace che è una città abituata al confronto, al dialogo, e in genere anche chi ha un interesse suo viene qui da me e dice: “Però lo inserisco in questo interesse generale”. C’è l’abitudine a capire che per essere portati avanti gli interessi particolari devono saper confrontarsi con l’interesse generale. Quello che comincia a pesarmi maledettamente è lo spettro del passato. Nel senso che la città ha bisogno di cambiamenti e di decisioni e su molti temi si bloccano o vengono ostacolati con forte richiamo alla nostalgia del passato che nella sostanza diventa immobilismo e non si va avanti.
PL: Prendiamo il caso dell’ascensore nella Torre degli Asinelli. A me sembra che non ci siano mai idee davvero innovative, ma solo ritocchi a ciò che esiste già. In più, durante una discussione i nostri lettori hanno detto che a volte sembra ci sia una regia, un complotto per proporre solo assurdità per fare in modo che alla fine non cambi nulla. Che ne dici?
VM: Sì, c’è una città abituata alla teoria del complotto, dove, usiamo un termine aulico, il rinnovamento dei gruppi dirigenti di questa città non riguarda solo i partiti e le forze politiche, ci sono molte lobby e molte pressioni. È una città dove tutti sanno tutto e i giochi di interdizione sono fortissimi e questo si ripercuote sull’innovazione. Credo che ci sia questo atteggiamento per cui l’innovazione debba corrispondere solo con le idee originali. Io temo che ci si debba rassegnare all’idea, molto più vera, che la creatività è frutto del lavoro di tante persone, non del genio isolato, e di rimettersi in sintonia sul fatto che bisogna faticare per innovare e produrre cambiamenti forti, senza pensare sempre solo all’idea originale o all’evento che rilancia la città nel suo insieme. Bisognerebbe fare largo alle nuove generazioni, l’accesso alle professioni in questa città è una rendita che andrebbe sbloccata. Penso anche che bisognerebbe sapere che i creativi si attirano in città non prendendoli dall’esterno ma utilizzando le risorse di questa città per dargli valore.
Prendi la questione dell’ascensore: io non ho nessuna proposta specifica per fare l’ascensore nella Torre degli Asinelli, l’ho appreso dal giornale. Però cosa mi colpisce di questa storia? Che senza sapere nulla ci sono già gli schieramenti a favore e contro l’ascensore, quello che si preoccupa di dire: “Perché dobbiamo spendere per l’ascensore?”
PL: Ma sai, è un tema facile quello dell’ascensore…
VM: Potrei dire che con un ascensore mia madre potrebbe finalmente andare sulla Torre degli Asinelli, non è mai potuta andarci. Al di là di quello, non è certo una priorità del Comune spendere dei soldi per l’ascensore... È sempre il rapporto storia e futuro, memoria e futuro, ogni volta che si mette mano a qualche cambiamento c’è una reazione di chiusura che mi lascia abbastanza perplesso. Le possibilità di guardare con fiducia al futuro ci sono, cercheremo di comunicarlo meglio… se posso andare avanti.
PL: Dimmi pure.
VM: Noi stiamo preparando la proposta di piano: cosa mettere nel nuovo piano regolatore. Potremo discutere di progetti e proposte innovative però il fatto che sfugga che nel giro di pochi mesi abbiamo messo in dirittura d’arrivo 3 grandi progetti di cambiamento urbano da riempire di contenuto…
PL: Quali sono?
VM: L’accordo per la nuova stazione ferroviaria, che è un progetto di ridisegno urbanistico della Bolognina e del suo accesso al centro storico, quindi una nuova grande centralità urbana collegata con il polo culturale dell’ex-Manifattura tabacchi e la Montagnola, un progetto molto forte dal punto di vista urbanistico di nuovi insediamenti e nuove attività. Abbiamo approvato il progetto dell’ex-Mercato ortofrutticolo, che prevede la realizzazione di un nuovo grande parco urbano a ridosso della stazione. Abbiamo approvato il progetto del Bertalia-Lazzaretto: oltre150 ettari di città già costruita che viene riqualificata e rifatta di sana pianta e che prevede il decentramento delle facoltà universitarie oltre all’edilizia residenziale. L’area ferroviaria del Ravone è un nuovo insediamento di edilizia residenziale che stiamo progettando a risparmio energetico e bioedilizia. 150 ettari vuol dire che stiamo concretamente ridisegnando il volto della città per i prossimi cent’anni.
PL: Ma perché sono così difficili da comunicare questi progetti?
VM: Perché nessuno si appassiona?
PL: Lo chiedo io!
VM: A questo vorrei reagire, perché mettendo insieme questi 3 pezzi di città più le aree dismesse in Bolognina più le aree del Caab, di fianco al Pilastro, stiamo ridisegnando la nuova porta d’accesso alla città bolognese, cioè la città internazionale. In questo ambito a giorni incontrerò le associazioni giovanili perché vorrei che qualcuno – non i soliti bonzi, ma i giovani – cominciasse a dirmi dove si fa il distretto della creatività giovanile bolognese. Nella parte di accesso internazionale alla città dobbiamo costruire un luogo dove ci sia musica e spettacolo, laboratori per i giovani, adolescenti e universitari che ne faccia il distretto creativo della città.
Dobbiamo agire semplicemente, tra virgolette, sul progetto. Oggi le persone vivono una sensazione di frammentazione, non abbiamo più le alleanze sociali di una volta, è difficile che uno si identifichi con la classe operaia, o con la borghesia, i vecchi schemi di una volta. Abbiamo bisogno di parlare agli individui come persone e dirgli: “Vuoi condividere un progetto?”. E sui progetti ricreare coesione sociale. Bisogna puntare su questo anche un po’ a muso duro, nel senso che dobbiamo metterci nell’ordine di idee che siamo stati votati per decidere, poi verremo giudicati alle elezioni. Bisogna finirla con questi riti, si discute su tutto. Io ricordo con terrore che questa città è riuscita a fare un referendum sul progetto della stazione, le torri di Bofill. Mi ha colpito molto che abbiamo fatto un referendum su un progetto architettonico: è stato un campanello di allarme che mi porto ancora dentro.
PL: Sei un viaggiatore o un sedentario?
VM: Un viaggiatore sedentario, nel senso che non mi piace viaggiare per viaggiare ma mi piace andare in posti dove ho la possibilità di conoscere delle persone.
PL: Fai molte vacanze?
VM: Ultimamente le faccio in agosto, perché c’è questo rito che si va via tutti in agosto… l’anno prossimo cercherò di farmi mettere di turno in agosto, come assessore.
PL: Di turno?
VM: Abbiamo i turni di reperibilità perché c’è una cosa bizzarra che si chiama TSO, trattamento sanitario obbligatorio.
PL: Per gli assessori?
VM: No, magari. I medici psichiatri dicono che una persona ha bisogno di un TSO, il sindaco è l’autorità sanitaria, quindi dobbiamo essere reperibili per convalidare le dichiarazioni del medico. Poi magari può succedere che ci sia bisogno di un assessore perché è successo qualcosa.
PL: Ti aspettavi di più?
VM: Mi aspettavo di più dalle forze politiche di questa città. Ho detto prima dei cittadini, però abbiamo abbandonato troppo in fretta, come una cosa superata, l’idea che la politica è anche lotta pedagogica, battaglia civica e educazione culturale. I partiti su questo secondo me si sono ritirati troppo presto.
PL: Un’idea concreta per Bologna.
VM. Prima ti ho detto 3 cose molto concrete che si stanno facendo e che riguarderanno dieci anni di lavoro. Un’altra cosa molto concreta che farei è trovare fondi per la scuola e prendere decisioni in questo campo molto più forti. Sai, facendo l’assessore all’urbanistica dirti una cosa concreta che si realizza in 2 giorni non sono abituato perchè tutte le cose che ho a mano io richiedono anni. Però il distretto creativo… mettere intorno a un tavolo le forze giovanili della città e studiare un progetto e un luogo dove farla, secondo me nel giro di tre mesi si può fare.
PL: Ti ringrazio molto. Questo è lo Spettro della Bolognesità, la nostra seconda intervista finisce qui, ciao a tutti e alla prossima.