DIEGO D'AGATA
Bassista/Cantante Splatterpink e Testadeporcu

Da che mi ricordi, con i New Hyronja ho sempre avuto qualcosa a che fare, almeno da dieci anni a questa parte.

Prima (ed anche ora) come fan, poi come “prodiuser”, (allora non possedevo ancora uno studio di registrazione per cui dovemmo accontentarci di un misero quattro tracce con risultati peraltro apprezzabili) e, per una sola spettacolare notte, anche come bassista assieme all’amico Trebbo dei Rude Pravo, per non parlare poi delle numerose sessions a Radio Città 103 con Maso fra deliranti e gratuiti turpiloqui, rutti, peti e bestemmie in diretta.

Credo quindi di essere altamente specializzato in materia per poterne parlare.

Ciò che riesce a spiazzare di questa bend è questa sorta di “ibrido demenziale” dove il genere propriamente detto perde alcuni dei suoi aspetti fondamentali, come la musica che sorregge il tutto ad esempio.

Sappiamo tutti che normalmente in una cosiddetta band demenziale ( anche se nel caso dei New Hyronja non ho mai accettato fino in fondo questo termine) l’aspetto musicale è lasciato sempre in secondo piano per poggiarsi quasi esclusivamente sui testi, tolti forse solo gli Skiazzos i cosiddetti gruppi demenziali sotto il profilo musicale sono infatti pari quasi a zero.

Non nel caso dei New Hyronja.

Quello che mi colpì subito in questa ciurma degenere fu il tentativo (ben riuscito) di immettere nell’ambito del demenziale una sana ventata di aria fresca andando ad attingere non dai soliti costumi rockettini di bassa lega bensì da altri stili e generi, Pixies in primis, postpanc, noise, etc.
Una cosa sicuramente mai fatta in quest’ambito.

E poi tutta quella cattiveria dei bei tempi che furono e tutta quell’assurda galleria di personaggi gravitanti attorno all’ensemble che si sono persi poi nel tempo e che nel tempo ne hanno inevitabilmente forgiato l’immagine, l’alieno Klaudyo Severi (che dopo di lui si deve esser rotto lo stampino), il tonno sulla faccia congestionata di Miro, i genitali del Pavone, la povera pazza del Dragon Pub, i bidè on stage, il ciclopico Gianni Pinardi che se gli dici “3 aprile 1966” in tre secondi ti dice “domenica” e tu vai a controllare sull’agenda elettronica e scopri che è vero e ciò vale per qualsiasi data, il Professore (ma de che, poi?), i genitori del suddetto Klaudyo che peraltro io purtroppo non ho mai conosciuto personalmente ma di cui ho sentito un gran parlare.

Però…

Quello che io posso umilmente verificare ora si riassume in una sola domanda: dov’è andata tutta quella bella, sana cattiveria?
Quando registrammo “i sette pecati del ontrofogo” accettai subito di mettermi al loro servizio aggratis per due motivi: imparare a registrare e perché capii che lì c’era qualcosa sotto, una potenzialità che covava.

Per questo nuovo lavoro invece noto che tutte queste potenzialità e questa cattiveria si sono sensibilmente trasformate in un certo moralismo populistico (processo a mio parere iniziato con “Sassi e cavalcavia”), trovo inoltre che continuare a fare il verso a Ferretti che sì si è distinto nel corso degli anni per la sua involontaria demenzialità ma è ormai (e per fortuna) acqua passata sia cosa obsoleta anche perché durante questi ultimi tempi il “panorama” andergraund ha generato altri e più meritevoli coglioni da massacrare.

Tuttavia non è di certo da un solo album un po’ debole che si possono trarre conclusioni su tutta una carriera e per me i New Hyronja sono e rimangono gli alfieri che hanno cambiato faccia al modo di fare ed intendere la musica demenziale che, come detto prima, nel loro caso rimane un termine troppo restrittivo.

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SITI CONSIGLIATI
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